Eléna Nemkova

Particelle alimentari

October-December 2008

Eléna Nemkova

Particelle alimentari

October-December 2008

In mostra ad Assab One diciassette dipinti a olio e spray acrilico indagano il rapporto tra cucina e scienza e interpretano altrettante ricette immaginarie ispirate alla “gastronomia molecolare”, definizione coniata da Hervé This, il chimico francese considerato il guru di chef superstar come Ferran Adrià e Pierre Gagnaire.  Ed è proprio Hervé This che, nella videointervista realizzata da Nemkova per accompagnare la mostra, svela la fascinazione di una ricercatezza solo apparentemente fine a se stessa e destinata ai palati sofisticati di rari gourmet, mentre introduce l’idea che queste ricerche possano veramente cambiare le abitudini alimentari, con conseguenze rilevanti dal punto di vista delle caratteristiche nutrizionali dei cibi, dei costi di produzione e del consumo di energia.

Sapere / sapore, by Barbara Casavecchia

“I think it is a sad reflection on our civilization that while we can and do measure the temperature in the atmosphere of Venus we do not know what goes on inside our soufflés.”
Nicholas Kurti

Lee Miller, pin-up, musa surrealista, fotografa di talento, amica di Picasso e Cocteau, amante di Man Ray, nel ‘42 riesce a farsi assegnare da Vogue l’incarico di corrispondente di guerra a seguito delle truppe alleate in Europa. E’ tra le prime ad entrare a Buchenwald e Dachau, a registrare su pellicola l’orrore indicibile di quei corpi scheletriti da fame e sevizie. Troppo: torna in Inghilterra, chiude la macchina fotografica e migliaia di negativi in un cassetto della soffitta e non vuole parlarne più. Si tramuta in una cuoca gourmet maniaco-compulsiva, che trascorre le giornate a verificare temperature e tempi di cottura, collezionare ricette, intervistare chef famosi, organizzare cene, provando a tenere sotto controllo il disordine interiore e universale, a compensarne la laidezza insanabile col suo armamentario apotropaico di pentole, fuochi, sapori (e parecchi litri di alcol). Nel culto edonistico travolgente che riserviamo alla cucina – dai canali tematici, alle guide, al feticismo per il biologico e il “genuino” – si coglie il riflesso della stessa angoscia, a fronte di un’emergenza alimentare e ambientale senza precedenti, mentre la Terra divora con voracità cannibale le proprie risorse rinnovabili, mandando in tilt gli ecosistemi quanto più cerca di produrre commestibili. L’immagine che meglio incarna l’incubo del tracollo è quella dei due protagonisti, padre e figlio, del ferocissimo “La strada” di Cormac McCarthy, che vagano per scenari devastati spingendo un carrello vuoto di supermercato, alla perenne ricerca di qualcosa da mangiare: l’unico cibo rimasto è in scatola, scaduto, stantio; ed è rovistando tra gli scaffali di un emporio in rovina, che il bambino prova l’emozione di bere una cola in lattina, reliquia ancora frizzante. Magic moments. Nel regime vigente di esteticità diffusa del quotidiano (1), il cibo – e la sua rappresentazione – occupa inevitabilmente un posto in prima fila. Oltre che display sociale, è per sua natura “comunicazione”, come ha dimostrato l’antropologa Mary Douglas. Pubblicizzato, mediatizzato, scomposto e riassemblato in composizioni astratte (food design), assomiglia sempre più a un miraggio sensual-sentimentale, un prodotto di sintesi alchemiche impossibili da replicare nei nostri tinelli. Più che un nutrimento, un capriccio – ovvero, come scrive Zygmunt Bauman ne “La società sotto assedio”, “lo stimolante più potente e soprattutto più versatile per mantenere l’accelerazione della domanda di beni di consumo al passo con il crescente volume dell’offerta. (…) Il capriccio completa la liberazione del principio del piacere, eliminando gli ultimi residui d’impedimento del principio di realtà: la sostanza naturalmente gassosa è stata fatta uscire dal contenitore“.

I soggetti eterei, luminescenti e fluttuanti nel vuoto, così come i titoli che Elèna Nemkova sceglie per i diciassette dipinti a olio e spray acrilico della serie Particelle alimentari sembrano rubati alle pagine di una qualsiasi rivista patinata di lifestyle. Oppure a uno dei menù militanti di Cucina Futurista (2) stilati da Marinetti, che, su istigazione dello chef francese Jules Maincave, invitava i chimici a inventarsi nuovi sapori, i cuochi a creare «bocconi simultaneisti e cangianti» come “l’alga spuma tirrena” e “il pollo d’acciaio”, ad «avvicinare elementi oggi separati da prevenzioni senza serio fondamento» come vitello e assenzio, aringa e gelatina di fragola, oltre che a musiche, poesie, profumi. I suoi Topinambur, spinach and herbs cooked in liquid nitrogen, Raspberry ball and dried seaweed; Vacuum-cooked beetroot and marinated plum gnocchi, Pistachio pearls and citron syrup; Seven vegetable soup cooked in liquid nitrogen sono frutto delle incursioni dell’artista nel mare magnum online della gastronomia molecolare, una disciplina creata a fine anni Ottanta dal fisico ungherese Nicholas Kurti e dal chimico francese Hervé This – che oggi fa da guru a celeb mondiali del gusto come Ferran Adrià  (invitato all’ultima Documenta di Kassel) e Pierre Gagnaire – con l’obiettivo di confutare una serie di tabù e pregiudizi legati alla cucina tradizionale, aiutare il pubblico a comprendere il contributo della scienza allo sviluppo sociale, esplorare i processi delle trasformazioni culinarie e culturali. Con esiti concreti sorprendenti, come i sorbetti all’azoto liquido o l’invenzione della macchina “pianococktail” (che Marinetti ribattezzerebbe subito pianopolibibita), una scatola dotata di scheda elettronica che, come racconta lo stesso This in una lunga videointervista rilasciata a Nemkova in occasione della mostra ad Assab One, sarebbe in grado di mixare circa 500 milioni di nuovi piatti. Davvero? Cotti o crudi? Quand’era iscritta all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo, Nemkova rimase folgorata dall’estetica del packaging funzionale e dall’elevato contenuto nutritivo delle Razioni K dei soldati della NATO, distribuite agli studenti per far fronte alle penurie della post-ecatombe sovietica. Non esplicita se queste sue “nature morte” contemporanee esprimano una sincera ammirazione nei confronti di una bellezza tanto effimera, quanto ricercata. O una sincera fiducia nella capacità della tecnologia di cambiare il nostro rapporto coi cibi, ottimizzandone apporto proteico e consumi di energia. O se piuttosto non siano pervase dall’ironia sottile con cui da anni archivia le notizie più assurde e inverificabili pubblicate sul sito web russo Newsru.com, per poi trarne disegni come The production technology of artificial meat is created in the USA (Agosto 2005) – pronipote mutante e transgenico del Carneplastico futurista. A chi guarda, serve comunque una porzione salutare e disincantata di dubbio, nei confronti non solo le neofobie alimentari, ma della cronica incapacità umana di trovare soluzioni ai bisogni elementari.

Interview with Hervé This

Hervé This è un chimico, direttore scientifico del dipartimento dell’alimentazione e della sicurezza alimentare presso l’Institut des Sciences et Industries du Vivant et de l’Environnement di Parigi. È stato lui a introdurre, negli anni ‘80, il termine “gastronomia molecolare”. Da allora è l’ispiratore e il consulente di famosi chef d’avanguardia come Ferran Adrià e Pierre Gagnaire. Questa è la trascrizione sintetica di una conversazione tra lui ed Eléna Nemkova di cui è possibile vedere la documentazione video nell’ambito della mostra.

Parigi, 8 luglio 2008, Institut des Sciences et Industries du Vivant et de l’Environnement

Eléna Nemkova: …Come le accennavo prima, sto lavorando sul tema dell’alimentazione contemporanea e il mio progetto vuole sollecitare una discussione, a partire da un paradosso: ogni giorno progrediamo sempre più dal punto di vista tecnologico,  ma continuiamo a preparare il cibo come cinquanta o cento anni fa.
Hervé This: …Negli anni ‘80 ho capito che bisogna cambiare il modo in cui cuciniamo, perché prepariamo il cibo nello stesso modo che nel Medioevo… Però immagini di trovarsi davanti a qualche miliardo di persone che non vogliono cambiare niente. Primo, [per farlo, ndr] devi essere un pazzo, e secondo hai bisogno di una strategia. E una strategia in questo caso è quella di analizzare gli esempi di qualcuno che ha già fatto qualcosa di simile nel passato. Come Parmentier, ad esempio, che ha introdotto le patate in Francia nel momento in cui nessuno lo voleva. La sua strategia è stata quella di regalare i fiori di patate al re (Luigi XVI). In quello stesso periodo l’Accademia di Medicina dichiarava che le patate erano velenose, ma Parmentier sapeva che non lo erano, perché in Germania le coltivavano già da un po’. E allora Parmentier ha fatto portare i fiori di patate al re, così la gente poteva vedere che anche il re mangia le patate. E come seconda cosa ha ordinato di coltivare campi di patate appena fuori Parigi, sorvegliati da guardie reali, ma senza che queste arrestassero chi rubava di notte le patate per assaggiarle. In questo modo nel corso di una generazione le patate sono state introdotte nell’alimentazione dei francesi e le loro abitudini sono cambiate. È la stessa strategia che applico io… I re di oggi sono gli chef dei ristoranti stellati. Così passo le mie “patate” (cioè ricette) a Pierre Gagnaire o a Ferran Adrià. Loro usano tutte le innovazioni e quindi sono artisticamente molto competitivi. La gente può degustare i loro piatti, vedere questi chef in TV… Oh! Questo è molto divertente! [Tira fuori una confezione, ndr]. È una scatola che ho ricevuto ieri: un gioco per bambini per imparare a cucinare, giocare con l’alginato,  l’agar-agar… Questa è una dimostrazione che la strategia funziona.

E. N.: Certo, ma anche la forma del cibo è importante. Nei ristoranti si possono già assaggiare cose piuttosto futuristiche, ma forse sarebbe importante una modifica del nostro modo di cucinare a casa.

H. T.: Devi però aspettare: prima il “re”, poi le persone comuni. Guarda, questo gioco è per bambini! In Francia abbiamo introdotto dal 2001 nelle scuole le lezioni chiamate “Atelier sperimentale del gusto”. In tutte le scuole di Francia i bambini di 6 anni imparano come fare 1 m³ di schiuma da un singolo albume. Così domani cambierà… In fin dei conti gli adulti come te e me non vogliono cambiare niente. I bambini sono molto importanti. Attraverso di loro avverrà questo cambiamento. Lasciamo perdere gli adulti, scompariranno…

E. N.:  Comunque, nel prossimo futuro dovremo affrontare il tema della crisi alimentare: la popolazione mondiale cresce, il cibo manca. Cosa ne pensa dell’introduzione di nuovi prodotti, come insetti o lombrichi, come fonti di proteine?

H. T.: Siamo abbastanza intelligenti da poter decidere cosa mangiare nel futuro. Per questo penso che la chimica sia il futuro. Sappiamo bene che adesso è di moda il cibo organico/biologico, ma non ci sarà scelta. Se il prezzo dell’energia elettrica sale, le persone si rivolgono alla energia nucleare. La stessa cosa succede nel campo della chimica. Qui [in Occidente ndr]] è ancora possibile affrontare il prezzo alto degli alimentari, ma se il costo dell’energia sale, la chimica diventerà più importante, perché comunque sarà necessario trasformare i prodotti base in diverse varietà  commestibili.

E. N.: Quindi Lei pensa che nel futuro la maggioranza delle persone diventerà vegetariana?

H. T.: Non posso predire il futuro, ma dal punto di vista scientifico le piante sono molto interessanti. Lì ci sono sia proteine, sia altre molecole.

E. N.:  Ma per aggiornare la nostra cucina abbiamo bisogno di dispositivi nuovi… C’è una barriera psicologica abbastanza grande. Qual è la via per superarla?

H. T.: È quello che ho già detto: è la storia di Parmentier. Prima la sapienza dei “re” – chef a tre stelle – poi gli altri. La situazione di oggi è questa.

E. N.:  La gastronomia molecolare come può accelerare questo cambiamento?

H. T.: Questo è un problema di comunicazione, noi non dobbiamo confondere i problemi della ricerca e dell’ applicazione. L’applicazione ha bisogno della strategia, e questa è già al lavoro dal 1980, ma è troppo presto per parlarne. Parmentier ha dovuto impiegare una vita per introdurre le patate, perciò è necessario essere molto determinati… Ecco, guarda questa macchina che ho progettato nel 2002. L’ho chiamata “pianococktail” – queste sono le piccole pompe… L’ho inizialmente concepito come uno strumento di dimostrazione, quindi è portatile… L’ho portato come una sedia con me ovunque… Qui si possono avere circa venti pompe come queste. Invece questa parte non è necessaria [mostra le varie parti della macchina ndr]. È come una piccola scatola, con una scheda elettronica… E questa parte è uno strumento che mescola. Quello inietta in questo piccolo spazio e il prodotto si mescola. Questa macchina può produrre circa cinquecento milioni di nuovi piatti. Premi il pulsante, chiedi la bernese e ricevi la bernese. Premi il pulsante, chiedi la maionese e ricevi la maionese. Chiedi il cocktail e lo prendi. Certamente sarà richiesto di fornire, per esempio, yogurt etc… Ma funziona esattamente come una macchina per il caffè espresso: metti una cialda e ricevi una tazza di caffè già pronta… Questa macchina può essere realizzata a un prezzo molto basso – questo costa zero, anche questo… E potrebbe essere ovunque, un domani. Sto proponendo quest’idea a una grande compagnia e e vedrai che ce la faremo. Non c’è un brevetto, è libera… Bisogna solo metterla in produzione.

E. N.:  È un gesto piuttosto generoso; funzionerà come “open source”?

H. T.: Questa macchina può essere distribuita in dieci anni, io non premo troppo perché è inutile fare pressioni, bisogna seguire una strategia. Quando Gagnaire la userà… o un altro chef… Immagini questa macchina in un ristorante! Invece di sbattere uova, metti un albume  e premi un pulsante. Però questo è tecnologia, non è il mio lavoro.

E. N.:  Penso che lei, comunque, dia un grande contributo alla divulgazione, Lei è una persona pubblica…

H. T.: Quando [ciò che faccio, ndr] viene pubblicato… Mi ricordo che nel 1996 ho pubblicato la mia ricetta della mousse al cioccolato senza uova, chiamata “Chantilly al cioccolato”. È stata pubblicata sulla rivista “ELLE”. E quando chiedi come la gastronomia molecolare arriverà a casa… Ecco, ti dico, adesso molti usano questa ricetta: non devi avere le uova, se sei povero, puoi farne a meno per questa mousse.

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E. N.:  Lei  usa – o pensa che abbia senso usare – additivi artificiali, conservanti… oppure preferisce lavorare senza?

H. T.: Sai, adesso c’è una grandissima guerra nel mondo degli chef della cucina spagnola.  C’è una grande discussione… La persona che ha iniziato la discussione è folle: lui vuole vendere il suo libro, e quando una persona non è molto corretta… allora dice che Ferran Adrià avvelena le persone e così il suo libro si vende. Questa non è una semplice polemica. Comunque tutto è molto ridicolo, questa persona mette in discussione la metilcellulosa. Ma la metilcellulosa è talmente sicura che le industrie farmaceutiche la usano al posto della gelatina per confezionare le capsule, perché pare che la gelatina non andasse molto bene. Ma adoperiamo la gelatina nelle nostre cucine quotidianamente! Quindi l’industria farmaceutica la rimpiazza con le metilcellulose… Perciò quando questa persona dice che la metilcellulosa è pericolosa… no, lui è impazzito. Poi, questo stesso chef in particolare usa fare molti arrosti… e quando si cuoce al fuoco aperto si forma tanto benzopirene, che è una sostanza molto cancerogena. Allora posso dire che tutto questo è una stupidaggine… È una situazione molto strana, abbiamo paura di qualsiasi termine chimico, ma poi facciamo dei barbecue e mangiamo cose terribili e ce ne freghiamo. Abbiamo paura della chimica, ma sai come va prodotto lo zucchero? Nella prima tappa si tagliano le barbabietole, nel secondo passo aggiungono latte di calce, tonnellate di calce, perché è indispensabile per separare gli zuccheri. È una cosa chimica? Sì, ma lo zucchero! Non ci sono i problemi per nessuno. È una cosa assolutamente chimica! Per il 99%!

E. N.:  Perché la gente è così timorosa delle novità in cucina?

H. T.: Noi siamo gamberi, abbiamo il riflesso che si chiama “neofobia alimentare” perché siamo dei primati, e ciò significa che non siamo capaci di mangiare qualcosa di nuovo, dobbiamo prima sapere cos’è. E noi impariamo cosa mangiare quando siamo bambini. Immagini, se qualcuno proponesse di mangiare un serpente, u-u-uh! Ma il serpente non è velenoso e la sua carne è molto buona. Ma per te è una cosa nuova e non fa parte della tua esperienza ereditata. Per questa ragione non sei in grado di mangiare il serpente.

E. N.:  Sì, conosco bene questa situazione, sono cresciuta in Unione Sovietica e non conoscevo le ostriche, e non mi piacciono neanche adesso…

H. T.: Ma sono molto buone!

E. N.:  Sì, buonissime, ma a me non piacciono…

H. T.: Tutto il cibo nuovo non ci sembra ammissibile. Ecco perché nella mia strategia non cerco di persuadere le persone adulte, perché è inutile, ma lavoro con i bambini. Poi crescendo loro non avranno paura. Ho due figli, e ho sempre fatto a casa il sorbetto con l’azoto liquido e loro lo conoscono. Poco tempo fa siamo andati in un ristorante dove lo chef ha preparato un sorbetto con l’azoto liquido: non l’hanno neanche guardato, perché per loro è già un’abitudine, non è più una cosa nuova. È un’abitudine, il che significa che può essere trasmessa. Ho trasmesso loro questa cosa quindi non ne hanno timore.

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E. N.:  Lei, per la sua ricerca, trova qualche riferimento nelle cucine tradizionali, per esempio nella cucina giapponese che opera tantissime trasformazioni, penso per esempio ai fagioli: hanno mille modi di prepararli perché, di base, la cucina giapponese è una cucina fatta di ingredienti poveri… O quali sono i suoi riferimenti?

H. T.
: …Ho raccolto più di venticinquemila ricette, sono Francesi, e tutto questo solo dagli anni ’80. Devo studiarle. Certo potrei studiare la cucina giapponese, inglese, tedesca, russa… Prima di tutto è un’enormità di lavoro e ne ho già abbastanza, poi non sarebbe molto efficiente, perché dovrei raccogliere le ricette, ma non posso leggere né russo né giapponese. La mia strategia è di creare gruppi di gastronomia molecolare in diversi paesi, affinché queste persone possano studiare le cucine locali. Poi ci incontriamo e confrontiamo gli studi della gastronomia molecolare. Ecco perché sono appena tornato dal Portogallo, dove adesso raccolgo le ricette…sono rientrato dal Canada. In aprile ero in Irlanda e abbiamo creato un gruppo lì che raccoglie e studia i dati dal punto di vista della gastronomia molecolare. A febbraio ero in California e lì ho creato un altro gruppo. A ottobre sono stato in Brasile e ho creato un gruppo in Brasile, etc. Alla fine sarà una grande organizzazione diffusa in molti paesi, direi venti-venticinque, cambia sempre, formata da persone che lavorano nelle università.

E. N.:  Qual è allora il nostro futuro nella cucina?

H. T.: Non so, ma cerco di spingere in una certa direzione e più o meno sembra che funzioni. La direzione, la strategia, viene prima di tutto [mostra il gioco per i bambini, ndr].  Poi c’è la questione dell’energia… che usiamo per cucinare… Se usiamo un forno, perdiamo l’80% dell’energia. Il che significa: prima produrla, poi portarla fino a casa, poi paghi per questa energia e poi la disperdi… È completamente illogico. Perdi l’80%. Allora è una questione di energia elettrica, e tu lo sai che l’energia sarà sempre più importante… Sono sicuro che quando le condizioni economiche non permetteranno ancora di disperdere energia ottenuta a così caro prezzo, anche il modo di cucinare cambierà. Questo è il momento di proporre il nuovo modo di cucinare. Probabilmente sarò aiutato nel mio tentativo… Vedi, nel 1980, quando ho iniziato a proporre i cambiamenti, la questione energetica non esisteva. Oggi invece sì, e quindi aiuterà a risolvere questo problema… Un’altra cosa: la “mucca pazza”. Questo è molto interessante. Nel 1984 avevo proposto agli chef francesi di usare la carragenina, l’agar-agar, etc. Gli chef dicevano “No-no-no-no! Lei vuole avvelenarci con i suoi addittivi alimentari…”. Poi, improvvisamente, è sorto il problema della “mucca pazza” e loro si sono mossi e hanno sostituito la gelatina con l’alginato, la carragenina, l’agar-agar, etc. Guarda: adesso nei libri di cucina sono ovunque, l’agar-agar e la carragenina su ogni pagina. Ciò significa che le questioni economiche e ambientali sono molto più efficaci di ogni forzatura. Ecco perché sostengo che quando il prezzo dell’energia elettrica si alzerà ancora cambierà anche il modo di cucinare, e spingo molto in questa direzione. Dobbiamo cambiare… Per esempio, un forno a microonde – è uno strumento molto limitato, che dal punto di vista energetico è molto interessante in quanto disperde solo 20%. Ma realisticamente non si può cucinare con il microonde e allora abbiamo bisogno di strumenti nuovi per elaborare cose completamente diverse. Questo è il momento per proporre strumenti nuovi. La gente ha nuovi apparecchi, quindi cucinerà in un modo diverso e cose diverse. Spero! Sto spingendo forte in questa direzione.

Biography

Eléna Nemkova vive e lavora a Milano e San Pietroburgo. É nata nel 1971 a Dushanbe, in Tagikistan, si è laureata in Design e Arte all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo e si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Ha partecipato al Master d’Arte Contemporanea e Premio d’Arte Mercedes-Benz al Centro d’Arte La Loggia, Montefiridolfi (FI) e al programma Pépinières Européennes al Konstepidemin di Göteborg. Ha ottenuto una borsa di studio all’interno del programma Movin’ Up del GAI e ha partecipato a programmi di residenza presso il BundesKanzleramt di Vienna e il Buchsenhausen.lab di Innsbruck. Nel 2004 è stata selezionata per il Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti di Como (visiting professor Jimmie Durham).
I suoi mezzi espressivi sono la pittura, il  video e la scultura. Le sue opere sembrano pervase da un autentico spirito sovietico e da una fiducia incrollabile nel progresso scientifico, come se le scoperte ammaliatrici della scienza esercitassero sull’artista un fascino tutto positivo. La pratica di Eléna Nemkova si struttura a partire da un’attrazione: quella per il processo di ‘modernizzazione’ in atto nel mondo. Affascinata dal progresso scientifico nelle sue diverse forme – dalle esplorazioni spaziali alle applicazioni domestiche più originali fino alla gastronomia – i suoi lavori rappresentano la trasformazione delle nostre abitudini, così come la nostra malleabilità rispetto alle continue intrusioni della tecnologia nella vita quotidiana. Il concetto di eroismo che emerge in alcune sue opere interroga la posizione dell’uomo proprio rispetto a questo atto del ‘modernizzare’: posizione attiva o progressiva atrofizzazione; la risposta rimane, per il momento, priva di un’immagine finale.