Si sta avvicinando la data della mostra. Elena mi dice che devo dare un contributo scritto.
Riparto dall’inizio, quando l’ho chiamata per chiedere ospitalità a dei futuri quadri. La macchina da stampa Roland Ultra era stata smontata per essere trasportata in India dove da poco ha ripreso la sua attività.
Io avevo in testa di fare delle grande stampe (monotype) proprio nello spazio dove stava la macchina ad Assab One. Elena ha visto dei quadri colorati in studio e ci siamo accordati per una nuova avventura.
Incomincio, trasferendomi ad Assab e lavorando in luogo per tutto il mese di luglio.
Guardo la superficie nera e oleosa (circa 20 metri quadri) dove la macchina per più di trent’anni anni ha stampato libri, enciclopedie, manifesti…
Il pavimento trasuda olio, gocce che nel tempo sono scivolate lungo le costole della macchina andando a espandersi verso il basso. Chissà quante parole e immagini si ricorda?
Intanto dovrò coprire tutto con una plastica leggera, l’olio può rimanere nel pavimento. Voglio fare delle nuove immagini: più alte, più sognanti, più non so dove… La memoria dell’olio deve rimanere nel pavimento, alla sua materia.
Devo fare dei quadri nuovi in questo luogo, non una ricerca antropologica attraverso i segni lasciati.
Devo ricordare come operava la macchina, com’era programmata, quanto inchiostro occorreva per una stampa.
Si possono fare dei quadri come se venissero fatti da una macchina, con quella cieca energia; organizzare i colori sulla superficie del pavimento e diventare io la Roland, per far nascere queste nuove immagini, frutto del mio pensiero meccanico.
Vengono fuori quadri che sembrano sogni stampati, come se neutralizzando il pensiero l’attività onirica prendesse il sopravvento. Una sorta di caccia alle farfalle, quadri-sogni, più vitali spero.