DIPINTO DEL TEMPO
Fai un dipinto in cui il colore
Si veda solo sotto una certa luce
In un certo momento della giornata.
Fa che sia un momento molto breve.
(Yoko Ono, estate 1961)
Caduta nella rete l’opera d’arte viene colpita da una profonda crisi d’identità. Mi spiego, se per Benjamin, l’opera, intesa come manufatto unico ed irripetibile, rischiasse tragicamente di perdere la propria aura, cadendo nella rete, l’oggetto artistico oggi ha l’occasione di definire nuovamente se stesso, riflettere attorno alla propria natura insieme fisica e concettuale.
Come se le sfide lanciate all’arte, tra i tanti, da Baudrillard, Celant, Lyotard, trovassero la possibilità per una riformulazione ancora più definitiva.
Il progetto Roaming mette in luce proprio questa criticità, proponendo una ricerca ricca d’una forte componente concettuale, che focalizza la propria attenzione sull’opera colta nel passaggio da materiale a immateriale, attraverso un gioco di specchi: un giorno di esposizione reale, e poi la continua esposizione in una galleria in uno spazio virtuale su Second Life.
L’operazione innesca inevitabilmente una serie di domande sullo statuto e sull’estetica dell’opera d’arte nella dimensione digitale. Un’ estetica particolare, di delicata natura, sia in relazione all’utilizzo di supporti tecnici che prevedono una commistione tra esperienza artistica ed utilizzo di strumenti tecnologici; sia per quanto riguarda le modalità di fruizione che prevedono la possibilità, da parte dello spettatore, di entrare in contatto e di interagire direttamente con l’opera dell’artista. Inoltre vanno considerate la profonde trasformazioni, dilatazioni e compressioni, che gli elementi spazio-temporali subiscono nella nuova realtà, quella virtuale. Un’altro fondamentale nodo di riferimento riguarda la strutturazione di una propria identità linguistica: nel nostro caso credo sia utile interrogarsi attorno alla doppia natura delle opere, di volta in volta realizzate dagli artisti, sempre diversi, invitati a prendere parte al progetto. Già perché, le opere, prima sono esposte fisicamente, poi solo virtualmente. Siamo così di fronte a due opere, oppure si tratta della stessa opera dotata di due differenti nature, o in fin dei conti trattiamo della stessa opera, e quelle che cambiano sono solo le modalità di fruizione?
In realtà, non penso sia così interessante rispondere a queste domande, quanto più proficuo dedicare una riflessione a queste identità inattese che grazie ad un semplice spostamento (da reale a virtuale), le opere assumono.
Più che un teorico, quanto manicheo, dilemma sul lavoro presentato dagli artisti per Roaming, mi sembra cioè interessante analizzare gli effetti che questa sorta di dualità comporta. Se nella serata-evento di inaugurazione le dinamiche della mostra presentano tutte le caratteristiche reali e tradizionali del caso, come per esempio l’intangibilità dei diversi oggetti esposti, dal giorno successivo proprio queste opere si dematerializzano, si diffondono, possono essere copiate, tagliate, ricolorate, per fare la copertina di un cd di mp3 scaricati illegalmente da eMule, o diventare lo sfondo per la mia pagina myspace. Qui non è nemmeno più questione di aura, l’opera da oggetto diventa processo, e si proietta nel futuro, come spiega chiaramente in un suo recente intervento Antonio Caronia. (A.Caronia “Digital time slip”, WOK, Edizioni Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, Marzo 2008)
Sarebbe riduttivo quindi proporre un’analisi legata alla doppia natura, materiale – immateriale, degli interventi, ed esaurire qui il discorso, perché perderebbe valore, l’elemento centrale di questo progetto, la sua valenza processuale, atta a svelare e dispiegare un meccanismo, quello grazie al quale, nella “nostra modernità postmoderna” le opere non sono più oggetti da guardare, ma relazioni da intessere, processi di metamorfosi ed ibridazione da scoprire.