Bijoy Jain + George Sowden + Chung Eun Mo
un progetto di Elena Quarestani
a cura di Marco Sammicheli
marzo-giugno
Bijoy Jain + George Sowden + Chung Eun Mo
un progetto di Elena Quarestani
a cura di Marco Sammicheli
marzo-giugno
Tre autori – una pittrice, un architetto, un designer – hanno accolto l’invito ad abitare insieme i vasti spazi di Assab One. Ognuno di loro ha deciso di intervenire con lavori inediti che insistono sulla prossimità tra arte, architettura e design.
1+1+1 è un trittico di mostre: tre autori – un architetto, un designer e una pittrice – hanno accolto l’invito ad abitare insieme i vasti spazi di Assab One, che sono stati in parte rinnovati per l’occasione.
Ognuno di loro ha deciso di intervenire con lavori inediti che insistono sulla prossimità tra arte, architettura e design.
Nelle tre mostre infatti arte, architettura e design si annullano in favore di una ricerca espressiva che non si deposita sul terreno già battuto dalle professioni dei tre autori. Pur rimanendo il punto di partenza, lo statuto delle loro discipline è decostruito e messo alla prova.
Bijoy Jain, un architetto, abita lo spazio con una pluralità di interventi che vanno dalla pittura alla scultura, applicando all’arte i metodi di ricerca e i processi di produzione che hanno caratterizzato l’attività di Studio Mumbai. Il titolo della mostra è Water, Air, Light.
George Sowden, un designer – uno dei fondatori di Memphis – utilizza elementi della sua produzione industriale e li trasforma in un proprio vocabolario per comporre una serie di imponenti installazioni. Il titolo della mostra è The Heart Of The Matter.
Chung Eun Mo, una pittrice, usa lo spazio come una grande tabula rasa e fa risuonare nell’architettura il suo linguaggio. Il titolo della mostra è Shapes and Shades.
Assab One partecipa, con un progetto senza precedenti, alle due settimane che Milano dedica all’arte e al design. Nell’ambito delle tre mostre, ospiterà in seguito iniziative dedicate alla pratica dei tre autori e allo sconfinamento dei linguaggi.
1+1+1 è un progetto di Elena Quarestani, a cura di Marco Sammicheli.
1+1+1 è un progetto espositivo composto da tre mostre. Eun Mo Chung, George Sowden e Bijoy Jain – rispettivamente una pittrice, un designer e un architetto- sono autori assai diversi tra loro. La relazione con lo spazio di Assab One, centro d’arte fondato e diretto da Elena Quarestani, è stata la condizione di partenza. L’ospitalità, la libertà d’azione e la volontà di agire in un’area di prossimità tra diverse discipline espressive hanno favorito sconfinamenti e sovrapposizioni. E’ proprio la reazione allo spazio insieme alla volontà di trasformarlo per allestire interventi diffusi e immersivi – e non l’interazione con esso – ad accomunare le tre mostre. La volontà di esprimersi attraverso l’arte, territorio inconsueto, ma non sconosciuto per Jain e Sowden, li allinea al solido status di Chung.
Nell’attraversare gli spazi che ospitano i loro interventi incontriamo infatti tre professionisti maturi che padroneggiano, nella propria pratica, uno stile consolidato e chiaramente riconoscibile anche quando si confrontano con sfide inedite. Siamo testimoni di quanto la ricerca espressiva di ciascuno, pur insistendo su solide matrici, sia in costante evoluzione. 1+1+1 diventa così una mostra sul tempo come materia, sulla storia come esperienza aperta, sul potere dell’arte di rinnovare, sulla comunicazione indiretta, sui rapporti con lo spazio come contenitore di relazioni.
George Sowden ha creduto nello scandalo della decorazione sin dagli anni Settanta, quando utilizzarla come struttura concettuale era un tabù. Per la sua mostra abbandona temporaneamente il design e sceglie di raccontare con l’arte l’origine creatrice della sua storia creativa. Per Sowden l’arte è catarsi e poesia. L’intervento si dispiega lungo un percorso di monumentali installazioni abitate dalle produzioni del designer, che qui sono sconnesse dalla funzione e parzialmente sabotate nella forma. Sono esperienze visive basate su una sensibilità e una ricerca iniziata oltre quarant’anni fa, quando l’autore cominciò a sintetizzare il suo linguaggio. Il volume degli interventi è significativo per mantenere la tensione con la grandezza della spazio e per ragionare su una dimensione che non sia quella domestica. L’ex fabbrica che ospita Assab One è per Sowden qualcosa di più di un fondale dove mettere in scena il suo lavoro. E’ una riconnessione con l’immaginario eclettico-industriale inglese dal quale proviene e sul quale ha costruito un personalissimo alfabeto.
Chung Eun Mo espande la sua pittura fatta di spazi e di luci, dove il colore è uno strumento al servizio della produzione dell’immagine. I quadri installati come rilievi prospettici trovano nel muro dipinto che li ospita un’occasione per alterare lo spazio e accendersi di luce. Il muro dipinto si presta alla combinazione di luci e livelli di colori tipici dei suoi quadri. Pennello e spatola sono utilizzati perché la pennellata non abbia mai una direzione. La superficie è piatta, senza indicazioni di movimento e l’amalgama dei colori assume ripetute variazioni. Nella tecnica di Chung c’è una prospettiva misurata che indica profondità diverse, distanze, senza narrazioni. I titoli delle opere sono solo punti di partenza per chi guarda. La pittrice immagina un interno abitato da sagome che costruiscono uno spazio complesso, intimo ma mai sentimentale.
Bijoy Jain realizza un’arte che ripara il passato, che parte dalle tracce e dalle basi dell’esistente per rappresentare la novità della storia. Il passato non è repertorio, è una terra fertile per generare un paesaggio visivo. Le alchimie di materiali utilizzati edificano ogni volta il presente che qui sceglie di manifestarsi liberamente. Lo spazio per Jain è sempre diverso perché vivo. Protagonista è l’uomo e non l’io. Quella che l’autore sparge negli spazi di Assab One è un’arte di matrice archeologica, rigenerata poiché basata sui concetti della trasformazione della tradizione e della condivisione di esperienze. La connessione con la terra e la reazione dei materiali con gli elementi della natura, piccole costruzioni e una simbologia ancestrale di cui non si conoscono i significati precisi, ma si intuiscono i rimandi antropologici, sono presentati come frammenti di qualcosa che esisteva e che si evolve, continuando ad esistere senza mai rivelare fino in fondo tutti i suoi contenuti. L’arte è un contenitore di vita, un esercizio per comprenderla, una misurazione dell’ambiente, un negoziato con la gravità, una rappresentazione della fisicità dell’intangibile.
Marco Sammicheli