Nathalie Du Pasquier
a cura di Francesco Poli
aprile-maggio 2006
Nathalie Du Pasquier
a cura di Francesco Poli
aprile-maggio 2006
IN COLLABORAZIONE CON
le Centre culturel français de Milan
La mostra racconta l’evoluzione del lavoro di Nathalie Du Pasquier negli ultimi tre anni. Si tratta di una serie di quadri in cui l’artista, nel corso del tempo, ha inserito tra gli oggetti quotidiani tipici delle sue nature morte alcuni elementi geometrici colorati, simili a dei solidi di legno, sottolineando in maniera sempre più evidente la necessità di astrarre gli oggetti dalla loro identità strettamente pratica per inserirli in un contesto di relazioni puramente compositive. In mostra anche due “cabine”, strutture tridimensionali che per le loro dimensioni potrebbero essere praticabili. La cabina è per l’artista una sorta di “motore mentale” che coinvolge sia gli elementi geometrici delle sculture in legno, sia i quadri che le rappresentano affiancate ad altri oggetti. Questo gioco combinatorio suggerisce e stimola la lettura del lavoro della Du Pasquier come un’unica grande opera, un organismo pittorico dotato di una propria energia endogena, capace di autodeterminarsi.
Questa mostra, ospitata da Assab One negli spazi dell’ex-stabilimento GEA, a cura di Francesco Poli, racconta l’evoluzione del lavoro di Nathalie Du Pasquier negli ultimi tre anni. Si tratta di un’ampia serie di quadri in cui l’artista, nel corso del tempo, ha inserito tra gli oggetti quotidiani tipici delle sue nature morte alcuni elementi geometrici colorati, simili a dei solidi di legno, sottolineando in maniera sempre più evidente la necessità di astrarre gli oggetti dalla loro identità strettamente pratica per inserirli in un contesto di relazioni puramente compositive. Tutti gli oggetti, compreso un motore da motocicletta, sono dunque scelti esclusivamente per le loro caratteristiche formali, per i loro volumi e colori, senza alcuna volontà di utilizzarli con valenze metaforiche o simboliche. Le grandi dimensioni dell’ex tipografia, ora spazio espositivo, danno inoltre alla Du Pasquier l’opportunità di esporre due “cabine”, strutture tridimensionali che per le loro dimensioni potrebbero essere praticabili. La cabina è per l’artista una sorta di “motore mentale” che coinvolge sia gli elementi geometrici delle sculture in legno, sia i quadri che le rappresentano affiancate ad altri oggetti. Questo gioco combinatorio suggerisce e stimola la lettura del lavoro della Du Pasquier come un’unica grande opera, un organismo pittorico dotato di una propria energia endogena, capace di autodeterminarsi.
Nathalie Du Pasquier è nata a Bordeaux e vive a Milano dal 1979. E’ stata tra i soci fondatori di Memphis. Fino al 1986 ha lavorato nell’ambito del design, ideando tessuti, tappeti, mobili e oggetti. Da quando, nel 1987, il gruppo si è sciolto, la pittura è diventata la sua attività principale con molte mostre personali e collettive in Italia e all’estero.
Mostre Personali:
2017: “Other Rooms”, Camden Arts Centre, Londra, “BIG OBJECTS NOT ALWAYS SILENT”, ICA, Philadelphia, USA, “From time to time”, Pace gallery, Londra, “From Some Paintings”, La Loge, Bruxelles, “Collezioni Private”, Kunsthalle Lissabon, Lisbon 2016: “quadri Mobili e Immobili”, A palazzo Gallery, Brescia, “Le mie Credenze” a cura di Davide Giannella, Mega, Milano, “Meteorites & Constructions II” Exile, Berlin, “Very flat constructions” Assab one, Milano, “big objects not always silent” curated by Luca Lo Pinto, Kunsthalle Wien, Vienna, 2015: “it is hard to get excited about a growth of less than 3% with no sign of imminent improvement”, Chamber NYC, New York, “The big game”, Exile, Berlin, “construction”, Fotokino, Marseille, “cultura materiale” a cura di Elisa Langlois and Pierre Leguillon, Haute Ecole d’art et de Design, Genève, “tomorrow i could say something else”, a cura di Dafne Boggeri, sprint Milano. 2014: “meteoriti e costruzioni” a cura di Gèrard-George Lemaire, Institut francais, Milano. 2012: “Counting”, 27 prints, Assab one, Milano, Elements (paintings and constructions), Galerie Desaga, Cologne; Chung + Du Pasquier, Fenderesky Gallery, Belfast; Disegni, 121 + libreria extemporanea, Milano. 2011: Drawings, a cura di Apartamento Magazine, Librairie Yvon Lambert, Paris; Des ensembles faits des fragments d’un meme monde, galerie Lucien Schweitzer, Luxembourg; Disegni, galleria Antonia Jannone, Milano. 2010: Ensamble, Assab One, Milano; modello 14, galleria PostDesign, Milano; Fuori Tempo, Abitare il Tempo, Verona. 2009: Strumenti vari, a cura di Giusi Laurino, Fabbrica delle Arti, Napoli. 2008: Teoria allargata dei giochi, a cura di Maria Cristina Strati, Galleria Novalis, Torino; Futures, a cura di Gianluca Marziani, Camera con vista galleria Romberg, Roma; Russia, Rubicon Gallery, Dublin. 2007: Natures mortes du Craft, Musée du Prieuré, Charolles, France; Chun Eun Mo, Nathalie Du Pasquier, Fenderesky Gallery, Belfast. 2006: Quadri a motore, Assab One, Milano. 2005: le Cadre Gallery, Hong Kong; “life’s commodities” 27 nuovi tappeti, galleria Postdesign, Milano. 2004: Musée des Arts Décoratifs, Paris; Fabbrica del Lunedì, Napoli. 2003: Fenderesky Gallery, Belfast; Rubicon Gallery, Dublin; Galleria studio G7, Bologna. 2002: Gallery Art Hotel, Firenze; Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano; Le Cadre Gallery, Hong Kong. 2001: Arte 3, Trieste; Rubicon Gallery, Dublin; Le Cadre Gallery, Hong Kong. 2000: Fenderesky Gallery, Belfast; Rubicon Gallery, Dublin; Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano; Le Cadre Gallery, Hong Kong. 1998: Centre Culturel Français, MIART, Milano. 1997: Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano. 1996: Fenderesky Gallery, Belfast. 1995: Galleria Corraini, Mantova; Museo de Arte Contemporaneo, Bahia Blanca; Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano. 1994: Le Cadre Gallery, Hong Kong. 1993: The Fruit Market Gallery, Edinburgh; Le Cadre Gallery, Hong Kong; Galleria Antonia Jannone, Milano. 1992: Le Cadre Gallery, Hong Kong; Galleria Philippe Daverio, Milano. 1991: Le Cadre Gallery, Hong Kong; Centre Culturel Français, Napoli. 1990: Galleria Facsimile, Milano. 1989: Spazio Romeo Gigli, Milano; Le Cadre Gallery, Hong Kong; Lumentravo, Amsterdam. 1988: Lumentravo, Amsterdam. 1987: Studio Gallo, Milano; Galleria Antonia Jannone, Milano.
Queste note di lettura sono brevi riflessioni frammentarie e sfaccettate che cercano di chiarire alcuni degli aspetti peculiari del singolare lavoro di Nathalie Du Pasquier: un mondo figurativo e plastico abitato soltanto da oggetti che da anni si sviluppa con coerenza quasi ossessiva e con raffinate valenze estetiche, attraverso meditate e libere procedure compositive, dentro i confini del quadro ma anche, con forme costruite, sempre più spesso, nello spazio ambientale.
Dal vero. Tutto avviene all’interno di uno studio bianco, con un soffitto molto alto e grandi vetrate luminose. La luce è una componente fondamentale di questo laboratorio di pittura perchè Nathalie è tra i pochi artisti che dipingono ancora direttamente dal vero, senza mediazioni fotografiche e senza lasciarsi andare, apparentemente, a invenzioni più o meno fantastiche.
La sua pittura, però non ha nulla di veristico, nel senso comune di questi termini, e tanto meno di naturalistico. Al contrario, ha una tensione visiva ben definita che nasce da un lento e concentrato processo di osservazione degli oggetti, da una messa a fuoco di estrema lucidità che trasforma la percezione ottica in immagini caratterizzate da una nitida prospettiva mentale. In altri termini, si può dire che qui si concretizza un processo di formalizzazione della realtà, quella degli oggetti messi in scena, che mantiene l’intensità e la sensibilità dello sguardo diretto, ma che allo stesso tempo ha connotazioni per molti versi astratte. L’immagine dipinta risulta quindi come una delicata e complessa sintesi fra dati fenomenici e elaborazione concettuale, in una dimensione spazio-temporale sospesa. E’ una dimensione quasi metafisica, mai freddamente cerebrale, impregnata di un lirismo silenzioso e rarefatto.
Metafisica degli oggetti. Anche se per fortuna sono assenti influenze culturali e stilistiche dirette, sembra esserci nei quadri dell’artista un’eco lontana dell’incanto metafisico delle nature morte di Giorgio de Chirico, con la loro straniante e enigmatica solitudine plastica, e in particolare della straordinaria “semplicità” poetica di quelle di Giorgio Morandi. E c’è anche qualche riferimento al purismo plastico pittorico di Amedée Ozenfant e Le Corbusier. Ma si tratta, più che altro, credo, di una sorta di affinità elettiva comune a tutti i pittori che hanno scelto di circoscrivere il loro orizzonte tematico al mondo degli oggetti, a iniziare da Chardin. E l’aspetto apparentemente paradossale, in questo caso, sta nel fatto che più gli oggetti sono legati al nostro universo quotidiano più si caricano di un fascino estetico particolare quando si liberano dalla loro identità strettamente pratica, e vengono inseriti in un contesto di relazioni non funzionali se non a una logica puramente compositiva.
Questi oggetti rimangono comunque quello che sono, ma tendono a perdere tutte le connotazioni di significato determinate dalle incrostazioni dell’abitudine, mostrandosi in modo sorprendente nella loro specifica e misteriosa natura oggettuale: oggetti immobili, definiti da forme, volumi e colori precisi, che entrano in relazioni inedite con gli altri oggetti ed elementi della rappresentazione.
Tutti gli oggetti compreso un motore di motocicletta, sono scelti “esclusivamente” per le loro caratteristiche formali, per i loro volumi pieni e cavi, per i colori, per la compattezza o la trasparenza dei materiali. Non c’è mai alcuna intenzione di utilizzarli con valenze metaforiche o simboliche. Il piano dei significati viene, apparentemente, azzerato.
Ogni tipo di presenza umana è rigorosamente mantenuta all’esterno dei confini della tela (salvo qualche caso di simulacro di mano o di testa vista da dietro, che conferma la regola). E’ lo sguardo più o meno interessato e attento dell’osservatore che, risucchiato all’interno del quadro, anima con la sua energia vitale la scena, stimolato e condizionato, ma solo in parte, dalla regia occulta dell’artista, ben presente dietro le quinte.
I due tempi del lavoro. Il processo di realizzazione dell’opera avviene attraverso due fasi distinte entrambe importanti. La prima è quella elaborata della costruzione concreta della composizione con la scelta degli oggetti che saranno protagonisti, la loro combinazione e disposizione accurata sul piano d’appoggio. Quest’ultimo è situato a un’altezza adeguata di fianco al cavalletto, in modo da consentire, normalmente, un leggero scorcio dall’alto in basso. Con molta attenzione vengono definiti anche il gioco delle luci e delle ombre, e gli accordi cromatici. E’ strategicamente fondamentale il fatto che la scena sia sempre uguale e non cambi assolutamente. L’impostazione viene fissata attraverso la visione da una inquadratura formata da una finestrella ritagliata all’interno di un cartoncino e posta davanti all’occhio. Con qualche studio preparatorio a matita viene verificata sinteticamente la messa a fuoco definitiva.
La seconda fase è costituita dal trasferimento del disegno sulla tela e dalla lenta e attenta esecuzione del dipinto: delle stesure piatte del fondo, dei colori di base dei singoli elementi, delle variazioni tonali, dei volumi plastici e degli effetti luminosi.
Quando l’impostazione del quadro è frontale tende a prevalere, per certi versi, una visione bidimensionale rafforzata dalla chiusura dei bordi, e gli oggetti sembrano quasi galleggiare sullo sfondo. Ma quando la composizione è messa fra due pareti ad angolo tende ad aprirsi verso lo spazio esterno.
Sistema chiuso/sistema aperto. Si potrebbe dire che questi dipinti trovano il loro equilibrio formale attraverso la tensione dialettica fra due spinte contrapposte. Da un lato c’è una sorta di forza centripeta che tende a rafforzare, in termini più concentrati, il sistema di relazioni che lega fra loro i vari oggetti, chiudendoli per così dire inesorabilmente nei confini precisi della cornice. Da questo punto di vista sembra prevalere nettamente lo spirito della composizione serrata, la logica dell’equilibrio statico. Ma dall’altro lato agisce anche una tensione centrifuga, messa in atto in modo comunque sempre molto controllato, che è determinata in particolare da due significativi elementi di strategia visiva. Il primo è quello dell’accentuazione un po’ esagerata dello scorcio obliquo del piano di base che rende leggermente instabile l’appoggio degli oggetti e che tende a farli ribaltare in avanti. Questo effetto visivo è accentuato dalla leggera deformazione anche assonometrica degli oggetti stessi. Il secondo elemento che favorisce una lettura più aperta delle composizioni, e produce un equilibrio più dinamico, è costituito dalle modalità delle inquadrature. In moltissimi casi gli oggetti non vengono rappresentati nella loro interezza: l’inquadratura , con un taglio quasi fotografico, ne esclude dei pezzi. In questo modo viene intenzionalmente messa in crisi l’autorità convenzionale della cornice, e lo spazio della rappresentazione virtuale deve necessariamente rimandare a quello esterno.
Questo gioco di raffinata ambiguità fra chiusura e apertura, fra dentro e fuori, avviene sovente anche dentro la tela con la presenza di cassette, vassoi, o anche cornici dipinte, che delimitano e circoscrivono lo spazio di esistenza di una parte degli oggetti in scena, creando dei teatrini interni o degli effetti di quadro nel quadro…
Al di là della cornice, nello spazio ambientale. La dimensione del quadro, come superficie fisica e come spazio della rappresentazione virtuale, è quella fondamentale e primaria dell’operazione artistica di Nathalie Du Pasquier, ma soprattutto negli ultimi tempi l’artista ha avvertito la necessità di uscire da questi confini incantati per coinvolgere nel proprio lavoro anche lo spazio esterno. Un’ esigenza di concretezza fisica tridimensionale si è fatta strada e ha incominciato ad affermarsi e prendere corpo attraverso realizzazioni plastiche, installazioni spaziali e veri e propri ambienti costruiti. La sua precedente esperienza come designer del gruppo Memphis, ha sicuramente inciso in modo significativo nella decisione di riprendere a fare degli oggetti reali. Ma al posto di vasi o altri oggetti di arte applicata, sono comparse delle sculture. Si tratta di piccole costruzioni in legno bianche o colorate, la cui struttura si articola con varie modalità geometriche, con qualche riferimento alla tradizione neoplastica o costruttivista, ma fondamentalmente espressione di una libera volontà di inventare strutture e forme di grande leggerezza e eleganza.
Queste sculture sono state completamente integrate nel microuniverso degli oggetti dell’artista, e non a caso compaiono spesso anche dentro le composizioni dipinte.
Ma anche i quadri, a loro volta, diventano oggetti nello spazio, quando entrano a far parte, insieme alle sculture, di combinazioni e che si sviluppano come articolate installazioni a parete.
Quadri a motore. Forse è solo una coincidenza, ma da quando nel repertorio di oggetti è entrato il motore di una moto, di per sé ormai immobile e impotente, la dinamica compositiva del lavoro dell’artista (che per lungo tempo aveva giocato su combinazioni e equilibri più calibrati) ha incominciato ad aprirsi a scelte più libere e, per così dire, movimentate, fino anche ad accumulazioni disordinate e a dilatazioni della scena pittorica in grandissimi formati. Si potrebbe dire che la presenza del motore ha, in qualche modo, messo in moto un’accelerazione inedita in una direzione aperta a chissà quali sorprese future.
Ambienti costruiti. Il processo di dilatazione nello spazio reale si è concretizzato nel modo più completo e coinvolgente attraverso la realizzazione di due specie di cabine in legno dipinto, delle stanzette con una porta d’entrata, dove sulle pareti interne e anche su quelle esterne sono collocate con studiati equilibri varie sculture, che formano nel loro insieme un complesso plastico coerente e unitario. Anche i quadri entrano a far parte di questo organico gioco combinatorio. Il risultato è sorprendente: ci si trova davanti a degli ambienti (anche praticabili) che sono allo stesso tempo delle grandi sculture.
Un’operazione del genere, caratterizzata sostanzialmente dalla stessa dialettica di sistema chiuso/sistema aperto di cui si è parlato a proposito dei quadri, potrebbe dilatarsi ulteriormente, se all’artista verrà data la possibilità di coinvolgere in un progetto totalizzante tutto intero uno spazio espositivo.
Una sola grande opera. Tenendo conto della straordinaria coerenza del metodo operativo e degli sviluppi della ricerca , si può ben dire che il lavoro di Nathalie appare nel suo insieme come un’unica grande opera unitaria, senza soluzioni di continuità. Un lavoro che ogni volta definisce i suoi limiti ma che allo stesso tempo si apre continuamente a nuove possibilità di crescita, come un organismo pittorico e plastico dotato di una sua energia endogena che si autodetermina.